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Concorso per Assistenti Sociali: intervista al Direttore

Buongiorno Direttore, avete concluso la procedura concorsuale per l’assunzione di 6 Assistenti Sociali, ci può dire com’è andata?

Abbiamo pubblicato la graduatoria con i vincitori e gli idonei proprio oggi. In generale sono molto soddisfatto. È stato impegnativo, ma credo che siamo riusciti a selezionare davvero i profili più in linea con la nostra mission. Grazie alle modifiche della normativa sui concorsi pubblici, abbiamo introdotto nella valutazione elementi come l’orientamento al risultato, la motivazione, il problem solving, ecc. che sono fondamentali per apportare valore al nostro Ente.

La prova orale ha coinvolto circa 180 Assistenti Sociali, quali sono le sue impressioni?

Credo vi siano tanti elementi positivi. Mi ha colpito l’entusiasmo dei candidati, la giovane età e la loro voglia di svolgere la professione con passione. Una buona parte di coloro che non hanno superato la prova sono comunque sembrati validi professionisti, anche se non hanno offerto una buona performance. Per alcuni è stata determinante l’emotività, molti erano al primo concorso, altri hanno estratto una domanda a cui non sapevano rispondere, ma si intuiva che erano comunque pronti a lavorare e a dare il proprio importante contributo. Abbiamo poi rilevato che ci sono tanti Assistenti Sociali nel nostro territorio, un fattore interessante che non immaginavamo e che ritengo possa essere una risorsa, anche in prospettiva futura. Infine credo che la valutazione delle competenze trasversali abbia evidenziato come una buona parte dei candidati le possieda e le sappia applicare nei casi in cui serve.

A coloro che non hanno superato la prova, o che magari si aspettavano un punteggio più alto, può dare un feedback su quali siano stati a suo avviso gli elementi più critici?

Il discorso è lungo e articolato, andrebbe dato un feedback ad ognuno a fine colloquio, ma ciò non è consentito. Pertanto, provo a dare degli spunti di riflessione in ottica costruttiva, che magari possono tornare utili al prossimo Concorso.

Innanzitutto, parto da una considerazione che appare scontata, ma non lo è. Il Concorso è una gara, dove solo qualcuno vince. Anche se le modalità sono simili agli esami universitari, c’è molta differenza. Ho trovato davvero strano il fatto che il primo giorno non ci sia stata la ressa per sentire le domande, tanto più vista la modalità innovativa di svolgimento della prova proposta. Mi dicono che sono state create della chat su whatsapp, ma davvero fatico a comprendere con quale logica chi era presente inviava le domande a chi doveva sostenere la prova nei giorni successivi. Mi pare davvero ingenuo avvantaggiare qualcun altro a discapito proprio. All’università se più persone passano l’esame e tutti prendono 30, nessuno toglie niente all’altro, ma nel caso dei Concorsi non è così. È anche il motivo per cui si estrae la lettera da cui iniziare gli orali: chi sta all’inizio è più svantaggiato.

Penso poi che un punto centrale sia la comprensione dei criteri di valutazione, che sono stati pubblicati diversi giorni prima, proprio per consentire ai candidati di sapere su cosa venivano valutati. Tuttavia, dalle risposte date, si desumeva che molti non avevano chiari i criteri di assegnazione del punteggio e questo credo sia stato determinante. Se, ad esempio, la “capacità di analisi critica nelle argomentazioni proposte” vale 6 punti e non si fanno accenni a “eventuali limiti e criticità” nella risposta, nonostante peraltro la frase fosse scritta in ogni domanda, si parte da un punteggio massimo di 24 all’orale. Mi dicono che in uno dei gruppo whatsapp c’era addirittura un hashtag (#limitiecriticità), però poi in molti non dicevano nulla neanche se sollecitati con la domanda “ha qualcosa di ulteriore da aggiungere?”. Rispondere poi dicendo che le criticità sono “le risorse” evidenzia la scarsa capacità critica. Le risorse sono limitate per definizione e rappresentano i vincoli del contesto in cui si opera, non sono quindi criticità.

Un altro elemento valutato riguardava la “padronanza dei contenuti” (6 punti). Anche qui, parlare tanto non vuol dire centrare il tema. In un paio di occasioni abbiamo sentito degli applausi da parte di chi era lì ad assistere alla prova, rivolti a qualcuno che per noi non era idoneo. Mi sono domandato come la percezione individuale potesse essere così diversa da quella della Commissione e credo che la risposta sia nella mancanza di comprensione dei criteri di valutazione. In alcuni casi inoltre le argomentazioni, seppur corrette, erano parziali e incomplete, oppure addirittura riferite ad altri argomenti, magari affini. In quel caso purtroppo, anche se la risposta è articolata, non è possibile dare riscontro al candidato, a differenza di quanto avviene con gli esami all’università.

Abbiamo poi riscontrato pochissimi riferimenti alla normativa e quasi tutti alla L. 328/2000 e alla L.R. 11/2016, che però si danno per scontate (è come citare la Costituzione), mentre raramente sono state citate le norme successive e applicative.

Altri 6 punti erano poi riferiti alla “qualità espositiva”, ovvero alla padronanza del linguaggio tecnico-scientifico, che in alcuni casi è stato più “colloquiale” che tecnico-professionale. In generale abbiamo sentito molte considerazioni di buon senso che di professionale hanno poco o niente. In alcuni casi si è notata poca capacità di astrazione e l’incapacità di spiegare concetti generali senza far riferimento ad esempi concreti.

Nei casi situazionali, dove venivano valutate le competenze trasversali, che valevano 12 punti, venivano spesso citati elementi poco centrati. Quei casi avevano in comune situazioni complesse, problematiche, che avevano lo scopo di mettere in luce il modo di procedere del candidato nella risoluzione del caso. Se la soluzione per tutto era l’”empatia”, la “supervisione” e “fare rete”, coinvolgendo tutti i professionisti che venivano in mente in quel momento (circostanza, peraltro, del tutto irrealizzabile nella realtà), è chiaro che la prova non è sufficiente. Si tratta di elementi che eventualmente vanno bene se proposti all’università, dove i modelli d’intervento sono teorici, anche perché l’obiettivo dell’università è verificare l’apprendimento dei concetti di base, ma nel lavoro la teoria si scontra con la realtà, dove spesso non c’è né tempo né disponibilità da parte degli altri professionisti. 

Alla domanda di riportare un caso di successo/insuccesso, la risposta è spesso stata collegata a motivi contestuali o situazionali, evidenziando una scarsa capacità autoriflessiva e quindi una ridotta potenzialità di miglioramento. Alcuni poi, credo ingenuamente, alla richiesta di che tipo di apporto avrebbero potuto dare al Consorzio, parlavano più di quello che potevano prendere (formazione, esperienza, stabilità, ecc.), piuttosto che di quello che avrebbero potuto offrire all’Ente.

Infine abbiamo riscontrato molta settorializzazione. Tutti i candidati che avevano esperienza lavorativa erano formati sul proprio ambito di competenza, ma se la domanda verteva su un servizio non attinente alla loro esperienza professionale, abbiamo avuto l’impressione che non lo conoscessero proprio, se non a grandi linee, e a volte neanche. Questo è un limite importante dell’organizzazione dei Servizi Sociali. Si studiano e, ahimè, si applicano modelli superati, a compartimenti stagni, che però ancora organizzano molte delle realtà territoriali, come ad esempio il Comune di Roma, dove la settorializzazione e la parcellizzazione impediscono di mettere la persona al centro dell’intervento e l’Assistente Sociale in grado di svolgere appieno la sua funzione di Case manager. 

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